Scorpacciata di emozioni

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Che scorpacciata di emozioni! Che tempesta!

Parto dalla più vicina, la riconquista del Comune di Roma. Non importa se molti non sono andati a votare. Significa che avevano perduta la speranza. Invece noi che la fiducia e la speranza non ci permettiamo di perderla, ci siamo andati, per noi e per tutti gli altri.

Ripartiremo. Roma rinascerà, come dice Marino? Sarà dura, ma ricominceremo dalle piccole cose. Per esempio dal nostro giardino intitolato agli adolescenti migranti Yaguine Koìta e Fodè Tounkara  morti tra la Guinea e l’Europa nel traditore vano di un carrello d’aereo. Sarà giusto ricordarli in compagnia della bella e fiera ministra Kyenge. Sarà bello tirarli fuori dalla dimenticanza.

Direte. Con tutti i problemi concreti che abbiamo, il lavoro, il traffico, le tasse, voi volete occuparvi della targa di un giardinetto?

Ebbene sì. Proprio perché non ci sono soldi per opere materiali, occupiamoci di valori che non hanno costo, ma che possono portare molto bene  al vivere civile. Intanto i sentimenti e l’educazione civica, visto che ringrazieremo anche i volontari che curano il giardino e non chiedono nulla. Lo   fanno  con fatica, con spese, con amore. È il buon esempio da sottolineare. Inoltre, nel nome dei due ragazzi, c’è  la sofferenza dell’altra umanità  da comprendere.

E poi la bicicletta. Le biciclette.

Ho visto Ignazio Marino,  chirurgo, non certo anziano ma non più ragazzo, pedalare con fatica su per la salita del Campidoglio. È una bella dura  salita, venendo dai Fori.  Forse la sua bicicletta rossa non ha un numero di cambi sufficienti, ma non è questo che conta. La salita è dura, e sarà dura non solo per muscoli e sudore. I cittadini che l’hanno votato dovranno aiutarlo, dovremo aiutarlo.

Se penso alle stupidaggini di Alemanno, con i suoi circuiti automobilistici, la sua demolizione di Tor Bella Monaca, il suo raddoppio del grande raccordo, il suo odio all’Ara Pacis, l’ostilità all’estate romana e alla festa del cinema,  le sue cerimonie da Decima Mas,  i suoi sgomberi forzati di campi nomadi, mi viene la pelle d’oca.  Dal mio balcone vedo il profilo della bella  vela di Calatrava a Tor Vergata, che doveva diventare luogo sportivo d’eccellenza e che cade in abbandono, ma vi si è preferito creare la grande tangentopoli-mangiatoia  delle piscine per le olimpiadi di nuoto.   Il traffico diventato impossibile, i parcheggi multipiano iniziati da Veltroni e non  terminati, le assurdità delle metropolitane da far andare o da prolungare. C’è questo ed altro di cui soffrire, qui a Roma. Sognare un po’ più di biciclette e di piste ciclabili o di corsie preferenziali  è quasi un dovere.

Ho detto le biciclette. Quelle di Roma e quelle, straripanti, che ho visto ad  Amsterdeam.  Ci sono stata qualche settimana fa. I tanti ponti sui tanti canali non mostrano più per bellezza le fantasiose ringhiere di ferro battuto. Non le mostrano più perché fissate a quei ferri c’è un muro denso di biciclette. Biciclette quasi mai belle o colorate, da donna, da uomo, con sellini e portapacchi. Biciclette per tutti, che ti passano accanto e guai a te se invadi la loro rossastra pista ciclabile.  L’aria non sa di tubo di scappamento,  gli olmi lungo i canali hanno le fronde verdissime e tenere, i bambini dai seggiolini sorridono e gli anziani pedalano calmi, senza affanno.

Lì, tra quei canali,  la grandissima emozione da Anna Frank.

Quei tanti stretti e  altissimi scalini di legno, quel sottotetto con la vista del fascinoso e sonoro campanile, quelle piccole stanze che ancora trasudano pazienza e dolore, mi hanno data una pena immensa. Quando Floriana mi ha chiesto come mi sentivo non ho potuto risponderle. Tremavo dentro e fuori. Sentivo Anna come sorella minore, con quei miei stessi capelli tenuti fermi dalle forcine, quei  modesti vestiti quasi  uguali ai miei, quella penna, quei fogli. Ricordavo le sue parole e i suoi pensieri più colti dei miei di allora  –  la mia realtà contadina così diversa –  ma i sentimenti e le speranze, quelli sì, somiglianti e oggi fuori tempo.

Mi sentivo sorella e mi sentivo in colpa. Come tanti di loro sopravvissuti,  in colpa per i miei tanti anni vissuti e da vivere.  Lei non ha avuto un dopo. Non anni, non  amore, ne’ famiglia, ne’ studi, ne’  mondo, ne’ biciclette, ne’ libri, ne’ bambini.  Per un insensato odio razziale. Per il disumano sterminio nei campi e non solo.

A casa ho riletto subito il suo diario. Avevamo ancora un sindaco con amici che celebrano l’”eroismo” della Decima Mas e fanno il saluto romano, la città invasa da manifesti con strani simboli a svastica. Scritte e  urli razzisti contro  i diversi e gli ebrei, urla e scritte  assolti come  simpatico sfogo di giovanilismo. Per non parlare del dimenticato progetto del museo della Shoà.

Emozioni anche più private, ma altrettanto profonde.

Emozione,  assistere in un  teatro pieno di studenti  a Monteverde allo spettacolo di Ferdinando su cosa è la democrazia, un duetto fatto di umorismo, di canti e di profonde verità.

Emozione,  andare in terra di bonifica mussoliniana, città di Aprilia, e scoprire una comunità di liceali, di pacifisti , di amici di don Ciotti e di Gino Strada, di insegnanti meravigliosi, di volontari sociali, di donne intraprendenti , di iscritti all’Anpi e di cooperative. Gente consapevole dei problemi di oggi e della realtà antica, che non è stata di rose e fiori in quelle mitizzate bonifiche, ma di sfruttamento brutale e morte da malaria, di interessi occultati e di miseri privilegi elargiti a miseri privilegiati, miseri premi per fedeltà o, forse, complicità.

Emozione anche al 25 aprile e al 2 giugno, giorni in cui non si tagliano nastri e non si aprono cantieri, ma si costruisce qualcosa di immateriale e preziosissimo che  si chiama coscienza civile e  identità nazionale.

2 pensieri su “Scorpacciata di emozioni

  1. Come sempre leggerti mi emoziona profondamente. Grazie per il tuo esempio di impegno quotidiano mai sopito. La forza dei tuoi ideali alimenta la mia fiducia in un futuro migliore del nostro presente.

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